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cancro della Prostata: uno studio analizza benefici e rischi dei vari trattamenti

Negli USA, nell’anno 2007, sono stati diagnosticati 218.900 casi di cancro della prostata (la più alta incidenza dopo il cancro del polmone). Nel 90% delle diagnosi formulate si tratta di neoplasie localizzate, individuate grazie all’introduzione nella pratica clinica, a partire dalla seconda metà degli anni 80′, del PSA test (Prostate Specific Antigen). I dati epidemiologici più recenti confermano la progressiva diminuzione del tasso di mortalità in parte dovuto ad un largo impiego di trattamenti precoci la cui efficacia comparativa non è attualmente nota. Per questo motivo, in un cancro della prostata clinicamente localizzato, oggi è difficile scegliere tra le varie strategie di intervento basandosi su una valutazione dei rischi e benefici dimostrabili. Inoltre l’aspetto decisionale diventa ancor più critico se si considera che il goal del trattamento è rappresentato dalla prevenzione della morte e della disabilità cercando di minimizzare le complicanze correlate all’intervento.

Le strategie più diffuse per il raggiungimento di questi obiettivi sono le seguenti:

  • Un management d’attesa associato ad una sorveglianza attiva (watchful waiting)
  • La chirurgia ablativa della ghiandola prostatica (prostatectomia radicale)
  • La radioterapia esterna e conformazionale
  • La radioterapia interstiziale (brachiterapia)
  • La terapia ormonale (blocco androgenico)

Su Annals of Internal Medicine sono stati pubblicati i risultati di una revisione sistematica che ha valutato comparativamente l’efficacia e i danni dei trattamenti del cancro della prostata clinicamente localizzato. Sono stati identificati in letteratura 14.045 studi da cui sono stati selezionati 18 trial clinici randomizzati (RCT) e 473 studi osservazionali che costituiscono il corpo delle evidenze scientifiche disponibili fino a novembre 2007.
Nella revisione sono stati inclusi gli studi che hanno arruolato soggetti con malattia localizzata (stadio T1 o T2) e assegnati random verso qualsiasi trattamento, comprese le terapie comuni o la vigile attesa. Gli studi con casi in stadio avanzato (stadio T3 o T4) erano presi in considerazione solo se riportavano gli esiti separati per quei casi con malattia localizzata.
I risultati hanno evidenziato che solo in 3 RCT era confrontata, in modalità comparativa, l’efficacia tra differenti categorie di trattamento (es. prostatectomia radicale vs terapia radiante o vigile attesa). Nessuno aveva arruolato soggetti con diagnosi primaria basata sul PSA. La potenza degli RCT era inadeguata a fornire dati sugli esiti di sopravvivenza a lungo termine. Gli outcome primari riportati erano prevalentemente rappresentati dalla progressione biochimica o dalla recidiva. Non sono stati trovati RCT che valutassero la crioterapia, la prostatectomia laparoscopica o robot-assistita, la terapia con blocco androgenico, la terapia con ultrasuoni focali ad alta intensità, la radioterapia con fascio di protoni o la radioterapia ad intensità modulata.
Gli studi non randomizzati avevano una forte variabilità rispetto all’efficacia e ai problemi indotti dai vari trattamenti, così come nella definizione degli esiti (per es. i criteri adottati per stabilire la progressione biochimica). Inoltre molti studi hanno incluso pazienti con malattia localmente avanzata senza un’analisi degli outcome sulla base dello stadio della neoplasia.

Ecco il confronto tra le varie opzioni terapeutiche:
Prostatectomia radicale vs vigile attesa – Nello Scandinavian Prostate Cancer Group Study N.4, che ha arruolato 695 soggetti con un’aspettativa di vita maggiore di 10 anni, la strategia chirurgica ha ridotto rispetto alla vigile attesa il tasso di mortalità per tutte le cause e la mortalità specifica per malattia del 5% (10% vs 15%; p= 0,01), le metastasi a distanza a 10 anni (15,2 vs 25,4%) con una differenza assoluta del rischio del 10,2% (IC95% 3,1-17,2%). L’efficacia è limitata a uomini di età <65 anni, ma non è associata allo score di Gleason o ai livelli del PSA basale. Negli anziani un piccolo trial a dimostrato che non ci sono differenze significative tra le due opzioni (differenza del rischio 0%; IC95% da -19 a 18%).
Prostatectomia radicale vs radioterapia esterna – in un piccolo trial in soggetti anziani è a favore della prostatectomia radicale per la riduzione della ripresa di malattia a 5 anni (14% vs 39%; differenza di rischio 21%; p=0,04). nessun regime di radioterapia esterna è superiore ad un altro rispetto alla riduzione di mortalità.
Prostatectomia radicale vs prostatectomia radicale + terapia neoadiuvante con blocco androgenico – premesso che nessun trial ha valutato il blocco androgenico in terapia primaria, il suo impiego come terapia neo-adiuvante nella prostatectomia radicale non ha migliorato gli esiti rispetto alla sola chirurgia in termini di progressione biochimica (differenza del rischio 0% ; IC95% da –7% a 7%).

Le evidenze disponibili per la definizione e valutazione di severità degli eventi avversi indotti dalla terapia hanno mostrato dati con un’ampia variabilità.
Gli episodi di incontinenza urinaria ≥1 evento/die documentati nel The Prostate Outcomes Study sono stati più frequenti nella prostatectomia radicale (35%) rispetto a terapia radiante (12%) o blocco androgenico (11%). Il tenesmo rettale si è presentato maggiormente nei soggetti sottoposti a radioterapia (3%) e blocco androgenico (3%) rispetto a quelli trattati con prostatectomia radicale (1%). La disfunzione erettile si è manifestata in una percentuale significativa dopo tutti i trattamenti tradizionali (prostatectomia radicale 58%; terapia radiante 43% e blocco androgenico 86%).
Infine i dati derivati dallo Scandinavian Prostate Cancer Group Study N.4 documentano che il 27% degli uomini sottoposti a prostatectomia e il 18% di quelli in vigile attesa sono complessivamente afflitti da tutti i sintomi urinari.

Questo studio, che ha cercato di chiarire l’efficacia dei vari trattamenti del cancro della prostata, ha evidenziato i grossi limiti derivati dall’insufficienza e qualità dei dati disponibili, criticità che condiziona anche la possibilità di effettuare un bilancio dei rischi e benefici indotti in tumori clinicamente localizzati.
Il messaggio è che tutti i trattamenti del cancro della prostata inducono eventi avversi che per frequenza, durata e severità variano in modo rilevante. La scarsità delle informazioni cliniche da RCT di elevata qualità rappresenta la barriera maggiore per ottimizzare il decision making in soggetti affetti da tumore della prostata clinicamente localizzato.
Wilt Jt et al Systematic Review: Comparative Effectiveness and Harms of Treatments for Clinically Localized Prostate Cancer Ann Intern Med. 2008;148:435-48

Dott Sabino Berardino: Dott Sabino Berardino Medico Chirurgo, a Firenze Specialista in Medicina Interna perfezionato in Ecografia ed Ecocolordoppler Vascolare Master di I livello in 'nuove tecnologie in Medicina - elearning'
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