Ambulanze bloccate negli ospedali in attesa di sbarellare il paziente, pronto soccorso intasati, carenza di personale medico e paramedico, barelle utilizzate come fossero posti letto: sono alcuni dei problemi con cui tutti i giorni gli operatori del servizio di emergenza del 118 devono fare i conti.
Grane di difficile soluzione che pesano come macigni sui cittadini che chiedono soccorso medico, soprattutto nelle grandi città, dove il 118 è chiamato a fronteggiare un bacino di utenza enorme.
A Napoli, ad esempio, un’ambulanza che trasporta un paziente all’ospedale Cardarelli può rimanere ferma anche per ore, in attesa di ripartire per un’altra missione, finché il malato non viene preso in carico e gli si trova un posto. Ma la stessa cosa è successa e può succedere anche se si corre a sirene spiegate verso il Pertini di Roma o il Civico di Palermo. Al Nord va un po’ meglio, anche se pure a Milano non mancano i problemi.
Tra i responsabili locali del 118 il coro è unanime: per migliorare il servizio servono risorse e una migliore organizzazione della rete ospedaliera ed un potenziamento della medicina territoriale.
C’è chi lamenta la carenza di mezzi: a Napoli città si contano ad esempio solo 19 ambulanze in servizio. Chi una scarsa efficienza dei servizi di assistenza sul territorio, che potrebbe affrontare gran parte delle richieste di primo soccorso dei cittadini. E ancora si segnalano un servizio informatico ormai obsoleto, la mancanza di ospedali capaci di rispondere in pieno alle esigenze dei cittadini, la carenza cronica di posti letto, che costringe i pazienti ad attendere ore sulle barelle o sulle lettighe delle ambulanze. Insomma, da Milano a Palermo i problemi non mancano. Anche se in misura e con sfumature diverse.
A Milano i problemi si registrano soprattutto in due fasce orarie ben precise: dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 21. E soprattutto in tre ospedali: San Paolo, Sacco e Niguarda. “La nostra regola – spiega il direttore Areu (Azienda regionale emergenza urgenza) 118 di Milano, Giovanni Sesana – è ‘sbloccare’ l’ambulanza entro 30 minuti dal momento in cui si affida il paziente ai medici del pronto soccorso. E nel 75% dei casi ci si riesce. Qui da noi, in Lombardia – aggiunge – non c’è un problema di carenze strutturali. Più che altro possono sorgere complicazioni di natura organizzativa in quegli ospedali che ricevono più richieste di soccorso, come appunto il Niguarda o il San Paolo. Ma c’è da dire che la situazione va sempre più migliorando. “Rispetto a due anni fa – sottolinea Sesana – siamo messi meglio. C’è una costante attenzione su questa materia. Al Policlinico, dopo una ristrutturazione dell’Emergenza, i tempi di attesa delle ambulanze si sono abbattuti”. Al servizio, che conta 80 ambulanze in dotazione, arrivano circa 1.600 chiamate al giorno. Per circa la metà sono necessarie uscite di servizio vere e proprie.
A Roma, dove l’Ares (Azienda regionale assistenza sanitaria) 118 può contare su un parco macchine di 200 ambulanze, sono circa 3.000 le telefonate che arrivano ogni giorno. “Di queste – spiega Livio De Angelis, direttore della centrale operativa 118 della Capitale – circa 1.200 diventano missioni di soccorso. Quindi – sottolinea – riusciamo a risolvere telefonicamente gran parte delle richieste, convogliandole ad altri servizi come ad esempio la guardia medica”. L’area della Capitale dove si registrano più criticità è la zona Nord-Est. Che vuol dire ospedale Pertini e Policlinico Casilino. “Questi ospedali – spiega De Angelis – devono far fronte a un bacino di utenza enorme. Sono infatti tantissimi i cittadini che, soprattutto con mezzi propri, si rivolgono ai pronto soccorso di queste due strutture. Noi ne trasportiamo solo il 13%”. Il risultato di questo sovraffollamento è che le cosiddette procedure di ‘sbarellamento’ si rallentano, bloccando le ambulanze.
I problemi maggiori sono soprattutto a Napoli. “Qui in città – spiega Giuseppe Galano, responsabile centrale operativa territoriale del 188 – le ambulanze a nostra disposizione sono solo 19. Diciannove per circa 62 mila interventi l’anno. Senza contare che mancano barelle, radiotrasmittenti e un sistema informatico adeguato. E, in alcuni ospedali come il Cardarelli, il sovraffollamento al pronto soccorso è talmente elevato che le ambulanze possono restar ferme per ore. Le barelle finiscono per diventare veri e propri posti letto, in attesa di un trasferimento al reparto”.Ma non è solo un problema di mezzi e uomini. “Per migliorare il servizio – sottolinea Galano – bisognerebbe organizzare una nuova rete ospedaliera e programmare le finalità alle esigenze della cittadinanza”. E non solo. “Servirebbe anche – aggiunge Galano – un’Agenzia dell’emergenza-urgenza, come esiste in Lombardia e nel Lazio. Qui in Campania ci sono 7 centrali operative che però non hanno un coordinamento adeguato”.
Il servizio 118 di Palermo copre anche la provincia di Trapani e deve far fronte a circa 800 chiamate al giorno. “Di queste – spiega Pier Giorgio Fabbri, responsabile della centrale operativa Palermo-Trapani – circa 300 diventano servizi di uscita, che eseguiamo grazie alle 84 ambulanze che abbiamo in organico, di cui 6 con rianimatore a bordo e 17 medicalizzate”.Anche in Sicilia non mancano i problemi. “Le criticità più marcate si registrano all’ospedale Civico di Palermo, dove arriva un enorme numero di persone. Il risultato, vista anche la mancanza di posti letto, è che il sistema finisce inevitabilmente per ingolfarsi con le ambulanze che vengono trattenute per ore. A farne le spese e a pagare il conto di questa situazione sono naturalmente i cittadini”. Per Fabbri c’è solo un modo per migliorare la situazione. “Va potenziata l’assistenza sul territorio”, spiega. “La maggior parte delle persone che arrivano ad esempio al pronto soccorso del Civico di Palermo sono codici bianchi o verdi, dunque presentano disturbi lievi. Questo accade perchè – conclude Fabbri – l’assistenza territoriale è carente. Quindi il paziente si rivolge all’ospedale”.