Ecco i fatti: il collega visita un paziente e suggerisce al curante di sottoporlo ad ulteriori accertamenti.
Il paziente svicola, non li esegue.
Dopo qualche tempo finisce al pronto soccorso: rifiuta, esplicitamente, di sottoporsi ad approfondimento diagnostico.
Il 13 settembre 2010 decede, a causa della patologia da cui era affetto avendo, appunto, volontariamente deciso di non farsi studiare per valutare eventuali terapie appropriate al caso.
I dettagli della sentenza di cassazione penale, la n. 24656/15, li trovate qui.
Non posso non pensare che tutte le volte che scrivo nei miei referti ecografici di proseguire l’iter diagnostico facendo questo e quell’altro esame potrei, a distanza di anni, ritrovarmi chiamato in una causa per omicidio colposo.
A tanti miei colleghi è già successo.
La situazione, nel caso specifico, sembra più che lineare: vengono proposti ulteriori accertamenti, il paziente – ripetutamente – rifiuta di farli, a distanza di tempo muore e, comunque, il medico viene chiamato in causa quale responsabile ipotetico del decesso del paziente.
E’ evidente, a me, sarà chiaro a voi tutti che questa spada di damocle non può non generare gravi problemi nell’azione medica quotidiana: come si fa a non pensare di tutelarsi, praticando la cosiddetta medicina difensiva ?
DIRITTO: l’imputato aveva visitato il paziente una o due volte, due anni prima del decesso. Aveva segnalato l’opportunità di esami strumentali più approfonditi. Il paziente non vi si sottopose mai e li rifiutò esplicitamente in occasione di un accesso al pronto soccorso nel 2009.
Dunque, secondo il giudice, è evidente che nessuna colpa può attribuirsi all’imputato visto che la vittima non ha seguito i suggerimenti anche scritti; ciò anche perché il paziente manifestava dolori da un anno ma in occasione di accesso al pronto soccorso il giorno 21 agosto 2009 rifiutò sia il ricovero sia la consulenza cardiologica.
Ciò posto, si esclude il nesso causale tra gli accertamenti prescritti dal ricorrente, mai eseguiti e successivamente rifiutati, ed il decesso della persona stessa.
Di qui l’assoluzione perché il fatto non sussiste.