Per la prima volta uno studio clinico prende in considerazione gli effetti sulla salute derivanti dall’assunzione – per almeno due mesi – di contraccettivi di terza generazione, da parte di giovani donne con età media di 23 anni, non obese, e dunque non esposte a un maggior rischio cardiovascolare dovuto al sovrappeso. La ricerca mette in evidenza che farmaci il cui principio attivo è dato da sostanze quali desogestrel e gestodene creano una condizione di infiammazione permanente che potrebbe favorire l’insorgere di malattie cardiovascolari e di tromboembolia venosa in soggetti a rischio con familiarità per tali patologie. Frutto di una collaborazione tra l’IRCCS materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste – Unità di Ostetricia e Ginecologia, Dipartimento di Scienze Riproduttive e dello Sviluppo – il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche dell’Università di Udine e il Drexel University College of Medicine (Filadelfia), lo studio è stato pubblicato dalla rivista Obstetrics & Gynecology.
I COC, contraccettivi orali combinati di terza generazione, contengono progestinici come gestodene e desogestrel e sono divenuti il mezzo più comune di contraccezione farmacologica in Italia dal momento che rappresentano il 94 per cento di tutte le prescrizioni di questi farmaci. Sono stati introdotti in quanto mostravano una quantità di effetti collaterali più bassa della norma e risultavano meglio tollerati dalla donna. A partire dal 1995 alcuni studi hanno suggerito che, pur restando farmaci in generale sicuri, i COC potevano provocare complicanze circolatorie come i fenomeni tromboembolici. Le malattie cardiovascolari sono diventate un problema di salute pubblica piuttosto urgente, sia per l’elevato numero di vittime che causano ogni anno in Europa e nel mondo, sia per la scarsa percezione e consapevolezza che il pubblico mostra nei loro confronti, sovrastimando invece patologie quali i tumori. A oggi sono noti diversi marcatori biologici la cui presenza o elevata concentrazione andrebbero tenute in debito conto per l’attuazione di misure di prevenzione primaria. Tra i biomarcatori meglio caratterizzati in tal senso figurano la proteina C-reattiva (CRP) – una sostanza che segnala un’infiammazione di grado moderato, quasi sempre asintomatica e dunque difficilmente individuabile – e l’aminoacido omocisteina, di cui è ben nota l’associazione fra elevata concentrazione e il rischio di trombosi venosa, disturbi cardiovascolari e malattie del sistema nervoso centrale. Con l’obiettivo di determinare la concentrazione ematica di questi marcatori in giovani donne non obese, in relazione all’assunzione di COC, l’equipe della Struttura Complessa Clinica Ostetrico-Ginecologica del Burlo Garofolo, assieme all’Università di Udine e a colleghi americani, ha preso in esame un gruppo di 277 giovani donne, 77 delle quali facevano uso di questo tipo di contraccettivi. “Ogni donna arruolata nello studio rispondeva a caratteristiche ben precise: età fra 18 e 30 anni, fertile, non gravida né in allattamento – spiega Secondo Guaschino, direttore della Clinica Ostetrico-Ginecologica del Burlo – Da ciascuna abbiamo raccolto un campione di sangue e abbiamo quantificato le concentrazioni di CRP e omocisteina, confrontando i valori registrati nel gruppo di chi non faceva uso di contraccettivi, e di chi invece li stava assumendo da almeno due mesi”. Significativi i risultati ottenuti: la concentrazione di CRP nelle donne che prendevano farmaci per impedire una gravidanza è risultata quattro volte maggiore rispetto alle donne nel campione di controllo. Più elevati sono apparsi anche i linfociti, cellule del sistema immunitario che con la loro presenza segnalano che è in atto una difesa da parte dell’organismo, quando non direttamente la presenza di uno stato di infiammazione. “I biomarcatori che abbiamo indagato nel nostro studio – prosegue Guaschino – sono associati al danno dell’endotelio, il rivestimento interno dei vasi sanguigni che, se non è perfettamente liscio e regolare, innesca fenomeni di risposta e difesa da parte dell’organismo. Questi, a loro volta, possono portare a infiammazione prima, e a disturbi di natura cardiovascolare poi. Rilevando maggiori concentrazioni di CRP in donne che fanno uso di contraccettivi di terza generazione stiamo disegnando una mappa dei possibili gruppi a rischio che potrebbe consentirci di sviluppare una strategia preventiva davvero efficace per proteggere tali soggetti dal rischio cardiovascolare”. Tra le altre osservazioni emerse nel corso di questo studio va segnalata la correlazione tra i livelli di CRP e un maggiore indice di massa corporea (BMI) significativo di una condizione di sovrappeso o di obesità. “I dati da noi raccolti – conclude Guaschino – suggeriscono che l’uso di questo tipo di contraccettivi non provoca un aumento di omocisteina: ciò, a nostro parere, è importante perché l’omocisteina è tra i parametri che i ginecologi monitorano più frequentemente, trascurando di quantificare la CRP, che alla luce di questo studio ha un significato prognostico maggiore”. Limite dello studio, come sottolineano gli autori stessi, è il campione di donne selezionato che, in certa misura può essere considerato poco rappresentativo. E’ tuttavia da porre nel giusto risalto che i dati di laboratorio necessitano conferme dall’osservazione clinica e che, come precisano gli stessi ricercatori, i possibili rischi legati all’utilizzo di questi farmaci sono ancora oggi di gran lunga inferiori ai benefici, primo fra tutti evitare una gravidanza quando le condizioni di salute non siano idonee.