lo afferma la sentenza 8254/11, emessa dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione: il medico deve assumere la decisione migliore per la salute del paziente e sta dunque a lui verificare nel caso specifico se la prassi delle cosiddette “linee-guida“, per quanto legittimamente ispirate a criteri di economicità di gestione, non risulti in contrasto con le esigenze di tutela del malato.
Secondo Riccardo Cassi (presidente di Cimo-Asmd, coordinamento dei medici e dirigenti ospedalieri) questa sentenza mette il medico al centro delle decisioni diagnostico-terapeutiche, dopo anni di predominanza di logiche economiche che hanno cercato di trasformarlo da professionista in dirigente impegnato a cercare di far risparmiare le aziende; con il rischio che il medico si possa trovare esposto a sanzioni da parte dell’azienda se non rispetta le ‘logiche di mercato’“.
Secondo Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil-Fp medici, il medico rischia così di pagare sulla propria pelle i limiti di un sistema sanitario che affronta una deriva ragionieristica. In un sistema impoverito, una politica sanzionatoria che contrappone i diritti dei cittadini alla professionalità dei medici – avverte Cozza – rischia di alimentare il ricorso a forme di medicina difensiva che non tutelerebbero i primi e mortificherebbero i secondi.
Dei costi delle pratiche di medicina difensiva avevo già scritto qui: 12 – 20 miliardi di euro l’anno!
E quando si parla di deriva ragionieristica non può non venire in mente il Profondo Rosso della sanità della Regione Lazio.