le due versioni del fatto

ricevo in ambulatorio una paziente, circa 50 anni, affetta da una malattia autoimmunitaria .
Noto subito che è un pò agitata (il che è praticamente lo standard, col passare degli anni e l’accumularsi dell’esperienza mi sorprende chi è calmo e rilassato, non il paziente agitato). Iniziamo il colloquio, che in genere accompagna la mia azione diagnostica, e scopro che si è affrettata a prendere l’appuntamento (in forma privata, a pagamento) perchè terrorizzata da quello che le avevano detto ad una precedente visita.
S : cosa le hanno detto di aver visto ?
Paziente : hanno visto qualcosa qui, non so cosa.
S : Ma non le hanno spiegato di cosa si trattasse ? Le hanno detto di fare urgentemente questo esame ?
etc etc
Siccome conosco personalmente la collega che l’aveva visitata (c’era il referto, assolutamente muto riguardo a questo qualcosa da approfondire) pochi giorni prima, le telefono per sentire la sua versione (visto che, tra l’altro, per me l’esame era perfettamente normale!): si ricordava della paziente, la sua versione dei fatti è che aveva visto una piccola cisti epatica e che, per scrupolo, le aveva consigliato di fare un’ecografia dell’addome.

Quanto diverse le due versioni, la paziente (a cui ho evitato di dire che conoscevo la collega e che le avevo telefonato per sentire di persona) ha continuato a dire che l’avevano terrorizzata  (non esagero, è tipico sentirlo e sentirselo dire: Dottore, ma lei mi vuol terrorizzare!) mentre la collega affermava di aver comunicato la presenza di una piccola anomalia da controllare mediante un altro esame diagnostico.
Mi piacerebbe che la mia azione diagnostico-relazionale fosse perfetta, ma con una tale ampia varietà di tipi umani come non potrà accadere (come m’è capitato oggi) di non entrare in sintonia e talora di litigare con il paziente ?

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