mi trovo a fare un pò da babbo ed un pò da medico – telefonico – ad un amico la cui compagna è ricoverata per una condizione patologica d’improvvisa insorgenza, potenzialmente grave (non nel suo caso, risoltosi rapidamente e, per ora, positivamente).
Mi colpisce sperimentare quanto chi non è dell’ambiente (medico) si trovi spaesato quando le cose gli accadono: nello specifico lui, persona colta ed intelligente, si trova in balìa completa di altre persone (i medici, gli infermieri) dai quali dipende completamente (e, da quello che mi ha raccontato, non sempre eccellenti nella comunicazione).
Nota finale: i forum non servono a un CENSURA, ha commentato rendendosi conto che andare in rete senza rete rischia di farti perdere completamente nel mare magnum delle cose dette, riferite e non filtrate da un esperto . . .
Non posso che concordare . . .
Caro doc, scrivi bene… è proprio così.
Babbo e hotline medica, come altre volte è successo.
Stavolta lo spaesamento è maggiore e quindi maggiore l’appello al discepolo di Esculapio. Il problema è che a volte penso che alcuni medici, per loro o altrui responsabilità, abbiano fatto il giuramento a Ipocrite e non a Ippocrate. Il consenso informato ha francamente poco del consensuale e ancor meno dell’informazione. I protocolli terapeutici sicuramente vengono applicati, nel modo più corretto… voglio sperare. A volte magari mi è venuto da pensare che la terapia sarebbe meglio indirizzata se l’eziologia fosse certa. Mi è stato spiegato che non sempre si può contare su una diagnosi corretta, meglio quindi colpire a tappeto… OK, volendo, è stata anche una sana doccia di realtà rispetto allo scientismo e alla presunzione di capire davvero come funzioni l’organismo umano. In ogni caso la maggiore lacuna che ho trovato è stata a livello comunicativo: non voglio dire che si curi con le parole, ma nella situazione di disagio, di angoscia a volte, che un’improvvisa crisi, di salute e di certezze, può generare, una sana condivisione anche di incertezze e di approccio a tentoni non guasterebbe. Per questo la rete non aiuta, c’è di tutto… Dalle leggende metropolitane alle disarmanti storie di recidive e di disastri chiururgici o farmacologici. Se posso dare un consiglio: trovatevi un medico di fiducia e rompetegli le scatole, non usate Google! Se ora la mia compagna ha dei postumi per una patologia iatrogena… è comune mi dicono. Io mi sento affetto da una malattia “googlogena”, uno spaesamento per eccesso di informazioni, perlopiù inutili e senza rete. Se è vero che “scientia auget et dolorem” è ancor più vero per una pseudoscienza che ci trasforma tutti in tuttologi e medici di stile scuola radio elettra. Grazie ancora, un amico
il problema è che spesso i protocolli non esistono e quindi si entra nel campo dell’opinabile e discutibile (nel senso che non esistono certezze e quinti tutti hanno ragione ) . . . .
E si tratta, spesso, di urtare dolorosamente contro la realtà: malattia vuol dire disagio, senso di precarietà, incertezza, paura; parte di tali sensazioni, me ne rendo conto, spesso derivano dall’incapacità di comunicare, incapacità – vogliate perdonarci – che nasce anche dal fatto che delle decine di esami che si fanno per diventar medico ed eventualmente specialista, non uno si focalizza sulla comunicazione della diagnosi e sulla relazione medico/paziente