Nell’ultimo decennio è diminuito il numero degli iscritti alle branche chirurgiche, e il trend continua: -30% dal 2007 al 2008.
Secondo recenti indagini, 8 chirurghi su dieci potrebbero incappare in un contenzioso medico-legale nel corso della vita professionale.
Il timore dell’alto rischio di contenzioso medico-legale spinge i giovani a scegliere altri campi. E questo anche se nella stragrande maggioranza dei casi queste vicende si risolvono positivamente, finendo però per sconvolgere per anni la vita professionale e personale del chirurgo.
Lo afferma Pietro Forestieri, presidente del Collegio italiano dei chirurghi (Cic)
L’errore è quasi sempre non del singolo operatore, ma il frutto di una catena di eventi. La cultura della colpa e non dell’errore non potrà che peggiorare la situazione.
Con una giurisdizione medica ferma al Codice Rocco (1930), infatti, in Italia – come solo in Polonia e Messico – gli errori clinici sono perseguibili penalmente.
“Depenalizzare – continua Forestieri – non vuol dire cancellare le responsabilità del chirurgo, ma solo ridefinirle meglio, valutando la specificità dell’atto medico e la sua inadeguatezza sociale”. Il termine di prescrizione per gli errori clinici è oggi di 10 anni. “Un tempo esageratamente lungo – nota l’esperto – di fatto mai applicato, perché la contestazione può avvenire non dalla data dell’intervento, ma dalla presa di coscienza delle presunte conseguenze dannose”.La deriva più pericolosa, secondo il vertice Cic, è rappresentata dalla medicina difensiva. Eppure la chirurgia italiana brilla in campi avanzati quali la laparoscopia, la robotica e i trapianti. “Negli ultimi due decenni sono stati compiuti progressi maggiori che in tutto il secolo passato”, assicura Forestieri. Ecco perché “medici, pazienti, Istituzioni, politica e industria devono ricercare una nuova alleanza terapeutica. Per una sanità migliore, più uniforme, senza sprechi, più sicura, efficace ed efficiente”.