Nel secolo appena trascorso i gruppi che hanno operato nella comunità umana per la salute dell’uomo e la salvaguardia del pianeta, per la costruzione ed il consolidamento delle organizzazioni sanitarie, il miglioramento delle conoscenze e della qualità delle cure mediche, dell’assistenza sanitaria e dei sistemi sanitari hanno affrontato questi temi da vari punti di vista:
– Il punto di vista dei ricercatori, che a partire dalle condizioni di salute degli uomini, dalle loro più gravi malattie, hanno impegnato le loro vite alla ricerca delle loro cause, delle possibili soluzioni per la loro prevenzione, cura, riabilitazione.
– Il punto di vista dei medici, che hanno iniziato quest’attività ai primi del ‘900 con Codman e, via via hanno sviluppato strumenti, tecniche, metodi e strategie per migliorare la qualità del lavoro medico, raffinando la ricerca clinica ed organizzativa, diffondendo le migliori conoscenze, valutandone l’impatto sulle persone trattate nei diversi contesti umani.
– Il punto di vista degli infermieri e del personale di assistenza, che, a partire dai lavori di Florence Nightingale, hanno sviluppato una propria cultura dell’assistenza ai pazienti, sempre più orientata dagli esiti assistenziali non disgiunti, ma differenziati da quelli clinici e sempre meglio organizzata in procedure codificate dalla letteratura scientifica.
– Il punto di vista dei cittadini, che, a partire dallo sviluppo delle carte dei diritti del malato, hanno sviluppato anch’essi competenze specifiche su strumenti e tecniche per garantire la loro partecipazione, la misura della loro soddisfazione per le cure e le azioni per migliorarla.
– Il punto di vista dei managers, che hanno sviluppato strumenti e tecniche per migliorare l’organizzazione, la gestione e l’amministrazione delle attività sanitarie, orientandole all’utilizzo ottimale (migliore possibile) delle risorse assegnate rispetto al mandato stabilito.
– Il punto di vista dei politici, che, dovendo definire delle strategie per la salute, sempre di più hanno attinto ai documenti redatti dalle istituzioni internazionali, come l’OMS, che raccomandano le modalità per definire le politiche più idonee per sviluppare lo stato di salute delle popolazioni.
– Il punto di vista dei tecnologi e dei designers, che hanno sviluppato strumenti meccanici, fisici, chimici, biologici per dare sollievo, prendersi cura e, possibilmente guarire da malattie molto serie le persone che ne sono colpite.
I diversi punti di vista hanno un solo obiettivo comune: garantire, per la parte di pertinenza dei servizi sanitari e sociali, il miglioramento dello stato di salute delle popolazioni e dei singoli soggetti che ne fanno parte, essendo la salute definita, da oltre trent’anni (dichiarazione di Alma Ata 6-12 settembre 1978) come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale.
La qualità delle cure e la loro sicurezza oramai sono riconosciute dal Consiglio d’Europa, come diritti dell’Uomo.
Gran parte delle raccomandazioni e degli obiettivi definiti dalle organizzazioni internazionali sono state la guida per i rappresentanti di questi punti di vista, ma molto raramente sono state applicate in strategie o politiche che abbiano potuto dimostrare, con indicatori misurati periodicamente, la loro validità.
Per tutta la fine del secolo scorso un nutrito e crescente numero di professionisti di tutto il mondo, riuniti in diverse libere associazioni internazionali e nazionali hanno provato a raggiungere questi obiettivi e se ne sono fatti carico con onestà, competenza e passione.
In virtù di quest’impegno molte conoscenze sono state ottenute ed un numero crescente di persone ammalate, per le quali fino a trent’anni fa ci sarebbe stato ben poco da fare, oggi possono guarire….o sopravvivere con crescente benessere e dignità.
Gli esempi dei successi nel trattamento dell’ulcera gastria, nella prevenzione della mortalità materna e neonatale, nella cura dell’infarto miocardico acuto, dello scompenso cardiaco, dell’artrosi dell’anca e del ginocchio, dell’ernia del disco, delle principali epidemie virali e delle principali malattie di origine batterica dimostrano che comunque la medicina sta progredendo.
Gli esempi nella prevenzione delle lesioni da decubito, delle infezioni ospedaliere perioperatorie o di altre condizioni dovute ad un’assistenza scadente stanno a dimostrare che è possibile migliorare il modo di curare le persone e prevenire gli effetti collaterali delle stesse cure.
Tutto questo può avvenire a fronte dell’investimento di una certa quantità di risorse delle Comunità in servizi sanitari e sociali integrati la cui gestione non sia soggetta a fenomeni corruttivi.
Ciononostante alcuni fenomeni appaiono tutt’ora preponderanti:
– l’immissione poco controllata nell’ambiente di sostanze nocive alla salute, mutagene o tossiche a solo scopo di profitto da parte dei loro produttori a volte senza nessun vantaggio per le comunità umane ma con soli svantaggi per la biosfera e per i suoi delicati equilibri;
– la riduzione della fiducia, indotta dalla pressione del mercato sui singoli soggetti e sulle comunità, a fidarsi delle proprie capacità per affrontare in maniera non medicalizzata i problemi della propria salute e della propria vita, ma ad affidarsi a pratiche di efficacia non dimostrata o addirittura potenzialmente dannose;
– il condizionamento degli obiettivi della ricerca dalle ragioni del mercato più che da quelle della salute, che comporta la deviazione di ingenti risorse verso obiettivi di ricerca scollegati con i principali bisogni di salute della popolazione umana;
– la cosiddetta “aziendalizzazione” quando attuata con criteri riduzionistici, basati solo sulla valutazione dei costi senza una contemporanea valutazione dei benefici delle cure sullo stato di salute della popolazione e dei singoli individui;
– la spinta, da parte delle forze del mercato, al consumo di farmaci e presidi anche non appropriati né efficaci sulle condizioni trattate, e il condizionamento da parte delle stesse forze ad orientare la ricerca su temi di scarso impatto sui problemi di salute reali delle popolazioni ma su attività marginali ma remunerative per chi quei farmaci e presidi produce e commercia;
– la spinta verso la sicurezza delle prestazioni sanitarie ( più complessa è una prestazione sanitaria, e meno appropriata rischia di essere, più pericolosa può essere per la persona e più spreco per la comunità può causare) e la conseguente campagna contro una supposta “malasanità” che fa della pessima cronaca su singoli episodi una gogna mediatica, spingendo i consumi verso l’aumento dei costi delle assicurazioni ed a una medicina difensiva al di fuori dalle buone regole della clinica;
– l’uso indiscriminato, a scopo diagnostico e terapeutico, di tecnologie biomediche sempre più raffinate, in grado di migliorare la caapacità di diagnosi ma a volte incapaci di per sè di risolvere i problemi di salute, aumentando il peso della cronicità e riducendo la potenza della relazione nella presa in carico dei problemi evidenziati, gravando senza utilità reale sulle risorse delle comunità;
– la presenza di forti sacche di corruzione e di utilizzo distorto delle risorse pubbliche destinate alla salute di tutti…..
Tutte queste cose possono condurre naturalmente alla necessità di rivedere alle basi il rapporto fra popolazioni, singoli, medicina, assistenza e sistemi sanitari nel loro complesso. Questo è oltremodo necessario alla luce di un cambiamento epocale che si sta verificando sotto i nostri occhi, che dimostra come alcuni paradigmi dell’economia come l’elogio e l’incoraggiamento al consumo senza freni, l’apoteosi del mercato, l’appiattimento delle culture e delle tradizioni in favore dei modelli di vita propagandati come unici possibili, la privatizzazione dei profitti e la pubblicizzazione delle perdite, sta portando il pianeta al collasso, le popolazioni più deboli alla fame, intere specie vegetali ed animali all’estinzione, la riduzione della biodiversità, le persone singole alla tristezza, le comunità alla perdita dell’identità e del radicamento, la vita stessa alla perdita di senso.
Una situazione di questo genere determina o è concomitante a riduzioni nella libertà democratiche, nello sviluppo dei diritti dell’Uomo, guerre e conflitti sempre più letali per il pianeta e gli esseri viventi che lo popolano.
Anche per questo viene voglia di far partire qualcosa di apparentemente antico, ma paradossalmente nuovo, che tragga la propria origine dalle profonde esperienze fiorite dopo la Carta di Alma Ata, dopo la Carta di Ottawa, dopo l’appello dell’OMS con gli Obiettivi per la salute per tutti nel 2000, pubblicati nel 1991 e sperimentati in molti contesti:
– Nei luoghi in cui si opera per la salvaguardia dell’ambiente.
– Nei luoghi della ricerca e dell’evidenza scientifica.
– Nei luoghi della prevenzione delle malattie e delle sofferenze.
– Nei luoghi di educazione alla salute.
– Nei luoghi dello sviluppo di nuove tecnologie per la salute e la cura delle malattie.
– Nei luoghi del miglioramento della qualità delle cure.
– Nei luoghi della riabilitazione possibile.
– Nei luoghi della miglior conoscenza dell’organizzazione dei processi assistenziali.
– Nei luoghi della miglior conoscenza sui processi organizzativi necessari a garantire una effettiva e partecipata governance clinica.
– Nei luoghi della partnership con i cittadini.
Quest’oggetto nuovo è, in analogia e su ispirazione con quanto concepito da Carlo Pettini ed i suoi amici nel 1986, la SLOW MEDICINE
Se lo slow food è “Celebrare la diversità delle tradizioni e delle culture culinarie, promuovendo la produzione ecologicamente
compatibile di cibo ed il ristabilimento della tavola da pranzo come il centro del piacere e dell’interazione sociale”,
“Slow medicine” potrebbe essere
Applicare all’interno della comunità umana, nell’interazione fra i cittadini, i loro rappresentanti democraticamente
eletti, i ricercatori, i medici, il personale sanitario ed i managers delle organizzazioni sanitarie il meglio delle
conoscenze scientifiche e delle capacità relazionali per organizzare con il massimo della sostenibilità ecologica ed il
minimo degli sprechi, attività sanitarie e socio-assistenziali progettate in maniera adeguata e pertinente con i
bisogni dei singoli e della popolazione, efficaci dal punto di vista dei risultati attesi, accessibili da chi ne ha bisogno
a seconda del loro livello di urgenza, compatibili con le risorse disponibili, soddisfacenti per i risultati ottenuti e
gratificanti per quanti vi partecipano e vi accedono .
Slow medicine è qualità di sistema progettata ed attuata da esseri umani e orientata alle cure sostenibili per altri esseri umani.
La Sobrietà, intesa come la capacità di “rendere le cose semplici, essenziali, senza sfarzo” è da sempre una caratteristica della medicina competente ed onesta, negoziata fra medico e paziente e fra comunità e istituzioni sanitarie, si attua in un contesto etico, favorisce il buon uso delle risorse a garanzia dell’equità di accesso alle cure necessarie e compenetra di sé i codici deontologici.
La Sobrietà è il pilastro della slow medicine e gli strumenti per la qualità sono i mezzi per garantirla in ogni situazione clinica ed organizzativa.
Slow Medicine è applicazione integrale del codice di deontologia medica, del codice deontologico degli infermieri e delle regole consolidate della clinica.
Slow Medicine è applicazione delle migliori conoscenze delle scienze mediche alla salute dell’uomo.
Slow Medicine è applicazione delle migliori conoscenze scientifiche sulle regole organizzative da applicare in un contesto sanitario come studiate e proposte dalle migliori scuole di management sanitario orientate dalla ricerca e non dalle ideologie.
Slow Medicine è fare ricerca per conoscere le pratiche migliori fra quelle che ancora non sono di efficacia documentata, ed impiegare le risorse migliori per ricercare le cause delle principali malattie che ancora affliggono gli uomini e che ancora non sono state scoperte, in un rapporto equilibrato fra ricerca sui fattori ambientali, genetici ed infettivi.
Le evidenze sull’efficacia dei trattamenti indicate dalla Collaborazione Cochrane sono la guida per praticare una medicina sobria e orientata ai bisogni dei singoli e delle comunità.
Slow Medicine è applicazione integrale nei contesti umani delle raccomandazioni dell’OMS per sviluppare strategie e politiche per la salute da parte dei rappresentanti politici scelti con le modalità partecipate per guidare il benessere delle comunità di appartenenza.
Slow Medicine è Prevenzione Primaria e Secondaria, non solo riduzione del danno, ma eliminazione dall’ambiente delle cause stesse delle malattie, comprese quelle che, una volta eliminate, determinano una riduzione del potere economico di quanti vivono della loro produzione e che quindi sono costretti, per il bene comune a riconvertirsi in produzioni non dannose per l’ambiente e la salute.
Slow Medicine è applicazione del Principio di Precauzione nell’introduzione, guidata dalla ricerca autonoma e priva di conflitti d’interesse, di nuove molecole terapeutiche e nuove tecnologie nei processi di cura degli individui e delle comunità, per prevenire i danni potenziali conseguenti alla non applicazione dello stesso principio al solo scopo di profitto.
Slow Medicine è ascoltare le persone nei loro bisogni, sviluppare una metodologia clinica appropriata per indagarne le condizioni con il loro consenso veramente informato, applicare il meglio dei trattamenti qualora appropriati sulle stesse e dimostrare la propria efficacia monitorando nel tempo gli esiti delle proprie azioni e non solamente le prestazioni a scopo di pagamento delle stesse.
Slow Medicine è garantire la partecipazione dei cittadini alla progettazione delle attività sanitarie in loro favore e monitorare assieme ad essi i risultati in termini di salute.
Slow Medicine è, periodicamente, misurare e valutare i risultati in termini di salute degli sforzi fatti per migliorarla e fare festa, in un ambiente Slow Food, per i risultati conseguiti con le persone che ne hanno felicemente usufruito.
Slow Medicine si distingue dalla “Fast Medicine” perché – non riconosce il concetto di produttività di prestazioni nelle organizzazioni sanitarie come proprio dell’ambiente sanitario
– attribuisce ad esso alcune delle profonde distorsioni nella cosiddetta medicina moderna:
· l’aumento della conflittualità con i pazienti,
· il conseguente eccesso di medicina difensiva;
· le disgrazie che possono avvenire se non si è avuto tempo sufficiente per riflettere e progettare gli interventi;
· il conseguente clamore mediatico e
· l’insoddisfazione dimostrata da alcuni tipi di pazienti per le cure ottenute ai vari livelli del sistema,
· il loro conseguente passaggio a modalità diagnostiche e terapeutiche cosiddette non convenzionali, prive di qualsiasi efficacia terapeutica scientificamente provata, forse solo umanamente più consone alle attese delle persone che pensano di averne bisogno, più spesso fonte di ritardi diagnostici e terapeutici.
Negli Stati Uniti un movimento chiamato Slow Medicine sta promuovendo una gestione non medicalizzata ed umana dei trattamenti di fine vita.
Questo è un modo intelligente ed umano di fornire assistenza alle persone alla fine della loro vita.
Può essere però un modo limitato di considerare il termine di “slow medicine” che può ridurne le potenzialità innovative, che, a nostra parere, vanno dalla gestione appropriata della fecondazione fra gli esseri umani che desiderano procreare ma non lo possono fare per problemi di salute riproduttiva, alla gestione esperta e non medicalizzata della gravidanza e del parto fisiologico, alla prevenzione delle principali condizioni morbose con stili di vita sani in ambienti salubri fin dalle età più giovani, alla cura delle condizioni morbose con il meglio delle terapie di efficacia dimostrata ed al costo minore per la comunità, via via fino ai trattamenti di fine vita compatibili con le
volontà delle persone, in un processo che comprenda tutte le età della vita sia dei singoli che delle comunità umane e garantisca che il diritto ed il dovere di cura siano sempre negoziati fra la persona ammalata, le sue persone di fiducia, le organizzazioni sanitarie ed i singoli operatori, evitando il ricorso obbligato sia all’accanimento terapeutico che all’eutanasia, ma accompagnando le persone con leggerezza, eleganza, attenzione e competenza nello sviluppo delle loro potenzialità di salute e nell’accettazione dei propri limiti biologici, fisici ed umani.
Una buona medicina evita di regola all’essere umano le sofferenze ed il loro immotivato prolungamento e si adopera perché alla persona ammalata sia data ogni possibile assistenza utile ad alleviarne le sofferenze e, sempre, se realistico, a prolungargli l’esistenza con dignità ed amore.
In sintesi, Slow Medicine è
Applicare all’interno della comunità umana, nell’interazione fra i cittadini, i loro rappresentanti eletti, i medici ed
personale sanitario ed i managers delle organizzazioni sanitarie il meglio delle conoscenze scientifiche e delle
capacità relazionali per organizzare con il massimo della sostenibilità ecologica ed il minimo degli sprechi, attività
sanitarie e socio-assistenziali progettate in maniera adeguata e pertinente con i bisogni dei singoli e della
popolazione, efficaci dal punto di vista dei risultati attesi, accessibili da chi ne ha bisogno a seconda del loro livello
di urgenza e complessità, compatibili con le risorse disponibili, soddisfacenti per i risultati ottenuti e gratificanti per
quanti vi partecipano e vi accedono.
Slow Medicine è……
“fermarsi, pensare, e fare della riflessione clinica il valore della professione e la garanzia per risultati onesti e possibili” (Sergio Nordio)
GRADO, 29 MAGGIO 2010
Andrea Gardini
Con
Paola Bacchielli, Mario Barucchello, Stefano Beccastrini, Giorgio Bert, Antonio Bonaldi, Domenico Colimberti,
Francesco Di Stanislao, Gianfranco Domenighetti, Donatella Mariani, Silvana Quadrino, Roberto Romizi, Domenico
Tangolo, Sandra Vernero
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Complimenti, mi piacerebbe essere aggiornato su quanto fa' Slow Medicine, se esistono associati nella mia città ( Pesaro), grazie
caro Enrico
ho letto di un congresso nazionale, in questi giorni
http://www.lucianopignataro.it/a/slow-food-e-slow-medicine-per-una-medicina-sobria-rispettosa-e-giusta/33361/
di più, al momento, non ho notizia . .