La tiroide è come una calamita, “avida di iodio e di altri alogeni. La presenza di inquinamento ambientale o, a quanto pare, la vicinanza di un vulcano possono contribuire a liberare nell’atmosfera queste sostanze radioattive, che hanno un’azione distruttiva sulla ghiandola”. Così Michele De Rosa, endocrinologo dell’Università Federico II di Napoli, commenta lo studio pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute dai ricercatori dell’Universita’ di Catania. Una ricerca che mette in luce un legame tra i numeri del cancro della tiroide e la presenza dell’Etna nella zona. “Uno studio che va approfondito insieme agli epidemiologi, perché se il legame di questo tumore con le società industriali era acclarato, quello con i vulcani è nuovo”.Secondo i ricercatori siciliani, a spiegare l’anomala incidenza di carcinoma papillare nella popolazione di Catania (fra le donne 31,7 casi per mille contro i 14,1 della media nazionale, mentre per gli uomini i casi sono 6,4 contro 3 per mille) potrebbe essere una mutazione genetica frequente tra i cittadini catanesi, che li rende particolarmente sensibili agli effetti della presenza di metalli pesanti e radon rilevati nell’aria e soprattutto acqua della zona. Ma perché questi elementi sono particolarmente tossici per le donne? “La tiroide femminile è molto più sensibile di quella maschile. Dunque risente di più della presenza di queste sostanze tossiche – dice l’endocrinologo – Se, in questo caso, potrebbe essere utile filtrare o miscelare l’acqua”, risultata spesso troppo ricca di alogeni e metalli pesanti, “bisogna però approfondire meglio il legame tra questi elementi e l’incidenza del tumore”. In generale, comunque, “è utile ricordare che oggi il tumore alla tiroide si cura bene: è poco aggressivo e, se non viene trascurato ma diagnosticato in tempo, oggi – conclude De Rosa – non ci fa più paura”.
Gabriella Pellegriti et al
Papillary Thyroid Cancer Incidence in the Volcanic Area of Sicily